DESIGN - DOMANDE & RISPOSTE
estratti da un
web-intervista con Nico Smeenk
...il lato umano delle cose...
Nei suoi progetti Nico Smeenk si muove con leggerezza e professionalità
dalla metodologia razionale delle sue origini (olandesi) alla
creatività passionale del suo paese di adozione (italia).
Forte dell'esperienza collaborativa con epigoni del design italiano ed
internazionale (
Andries e Hiroko van Onck,
Design Continuum,
Luca Meda), in
questi ultimi anni ha lavorato con il suo proprio studio per numerosi clienti in
vari settori, dal medicale al casalingo, dal mobile al elettrodomestico.
E' co-designer (con Andries van Onck) della scaletta pieghevole '
Tiramisù'
per Kartell (selezione Compasso d'Oro 1994). La sedia 'Track-One' vince il primo
premio al concorso 'Design 90'. Due suoi elettrodomestici fanno parte della
collezione fissa del museo '
Forum di Omegna', mentre due 'mano-domestici' e
la sedia 'OYYO' hanno fatto parte della mostra '
Piemonte
Torino Design' del 2006 e del 2008.
Predilige la sfida di progetti di una certa complessità tecnologica, ma il
design dei suoi oggetti dimostra sempre un interesse profondo per il lato umano
delle cose.
Design researcher
ante literam, la sua attitudine alla ricerca e teoria del
design si manifesta anche nell'insegnamento - dal 1999 è docente allo
'
IED' di Milano.
(A.B.)
Che cosa fa esattamente un industrial designer?
Per essere competitivi sul mercato, le industrie devono continuamente innovare i
propri prodotti. Creare nuovi prodotti non è facile e spesso è
rischioso - richiede investimenti importanti di denaro e risorse.
Il mio lavoro è: renderlo meno rischioso. Come?
Da una parte mi propongo come intermediatore tra utente e industria: cerco di fare
sì che nasca un prodotto che piace all'utente da tutti punti di vista (anche
quello economico). Per fare questo osservo l'utente, interpreto le richieste
commerciali, propongo concetti alternativi.
Dall'altra parte collaboro in modo creativo con l'industria per trovare soluzioni
che implicano meno investimenti possibili per un prodotto con il migliore rapporto
qualità/costo.
Tutti i designer hanno un motto - qual'è il tuo?
Parafrasando un famoso architetto - Mies van der Rohe - il mio motto è:
"Less slogans, more design".
In altre parole: non esistono risposte stilistiche a priori. Innanzitutto ascolto,
cerco di capire tutte le parti che si interessano al prodotto - l'utente finale in
primis - e di analizzare il contesto.
Il progetto che segue è la ricerca di un design che risponda al meglio a
quest'analisi. Solo così il design diventa risposta strategica innovativa, e
non rimane mai solamente variazione stilistica.
Quali sono le peculiarità del tuo studio?
Uno studio di design è una sinergia di molteplici peculiarità. Posso
comunque individuare due caratteristiche fondamentali.
La prima: lo studio è strutturato in modo snello ed efficace; ciò
è la base di partenza per la continuità del progetto, direttamente
percepibile nella qualità del prodotto.
La seconda: è legata alla professionalità dello studio. In più
di 25 anni di attività ho acquisito una visione del progetto nel suo
insieme: aspetti di marketing, tecnologia, produzione, comunicazione.
Questo mi permette di dare un impronta olistica, integrata al progetto,
coinvolgendo di volta in volta professionisti specifici facenti parte del mio
network collaborativo.
In pratica, come si svolge un progetto di design?
Spesso divido un progetto in tre fasi. Una prima fase analitica/creativa nella
quale vengono delineati gli obiettivi globali del progetto, presentate assieme ad
una multitudine di proposte creative: bozzetti, modelli e renderings.
Nella seconda fase la proposta scelta viene trasferita dal livello concettuale a
quello materiale-concreto, con tutta l'attenzione per i dettagli formali.
Nella terza fase viene elaborato un progetto di pre-ingegnerizzazione.
Naturalmente questa divisione in fasi viene di volta in volta differenziata in base
alle esigenze specifiche del progetto in corso. In un progetto per il settore
medicale per esempio, la ricerca iniziale è importantissima.
Che cosa significa per te il 'buon design'?
Il buon design è interdisciplinare: vi sono aspetti di poesia, grafica e
scultura, tecnologia e management.
Naturalmente gli oggetti di design non sono poesie, né grafica o sculture,
né invenzioni o business: sono prodotti industriali, con forme e funzioni
concrete, destinati ad essere venduti.
Se disegnati bene però, questi stessi prodotti possono avere risultanti
poetiche, comunicative, eccetera.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Da mio padre ho imparato a riparare la mia prima bicicletta, base costruttiva
ottimale per questo mestiere: prima di tutto, le cose devono stare in piedi.
La collaborazione con Andries e Hiroko van Onck mi ha abituato all'approccio
razionale nella ricerca della forma perfetta.
L'esperienza a Design Continuum mi ha fatto capire l'importanza del design
management ed il ruolo fondamentale del design research per l'innovazione.
Per un designer l'apprendimento continuo fa parte del mestiere.
I tuoi strumenti di lavoro?
Molteplici: dalla matita alla modellazione 3D parametrica. Senza mai dimenticare il
modello fisico, tangibile: essenziale per valutare le relazioni tra oggetto e
utente, perché da queste nasce l'impostazione formale ottimale del
progetto
Tutte le presentazioni dello studio sono accompagnate da modelli. Nella prima fase
modelli volumetrici in polistirolo, seguiti da modelli estetici, per concludere con
la prototipazione rapida.
Puoi dirci qualcosa della tua esperienza di docente all’ Istituto Europeo di Design - di
Milano?
Certamente.
Il contatto con gli studenti è vivificante, stimolante. Il loro entusiasmo
è contagioso, la loro libertà creativa mi aiuta ad avere sempre gli
occhi aperti sulle nuove tecnologie, su nuovi approcci
didattico-metodologici.
Nello stesso tempo i giovani richiedono linee di lavoro e metodologie di ricerca
valide che la mia esperienza può senz'altro offrire.